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Survival of the dead- Concorso
George A. Romero in concorso a Venezia, una rivincita per molti che lo avevano visto negli ultimi decenni, troppe volte snobbato come cineasta di serie B. Genio del cinema, non solo di genere, solo recentemente ha trovato posto nel pantheon di festival e critici, meritatamente. E fa quindi doppiamente male (bastava vedere la faccia dei due registi de La horde, zombie-movie straordinario delle Giornate degli Autori) scoprire che il grande vecchio dell'horror, l'uomo che ha riscritto pagine della settima arte con i suoi morti viventi, concorra al Leone d'Oro con il suo film peggiore. Eppure la saga che l'ha reso famoso, arrivata al sesto capitolo, è sempre stata lontana dalle inevitabili cadute in cui può incorrere la carriera di un maestro. Pur tra mille difficoltà produttive, il suo approccio alla storia e ai suoi ritornanti è sempre stata curata, affettuosa, profonda, mai gli zombie romeriani ci hanno deluso. Fino ad oggi. A sua discolpa solo una considerazione: non è un'opera sciatta, una furba ricerca di consenso e denaro sfruttando il brand che l'ha reso grande, ma un film completamente sbagliato, brutto come solo un genio può pensarlo e girarlo. E dire che l'inizio- geniale la scena della trasmissione comica sugli zombie, con battute da stand-up comedy su una realtà ormai presa come normale dai superstiti- prometteva bene. I dialoghi scorretti, la sensualità, la rudezza dei protagonisti promettevano bene. Ma quando si arriva sull'isola in cui un gruppo di finti militari e un vecchietto che si fa chiamare Capitan Coraggio vogliono trovare salvezza (i primi) e vendetta (il secondo), il ridicolo, purtroppo, si tocca spessissimo. Dalle svolte di sceneggiatura assurde ad aridità di idee- le migliori uccisioni sono tutte nei primi 15 minuti- il film si dimena in un'idea inconcludente e in una tripla metafora incomprensibile. Il sottotesto politico sembra scagliarsi contro l'isolamento identitario, l'intolleranza e l'incapacità di integrazione, l'alienazione (bella idea, ma abbandonata subito, quella degli zombie che ripetono le loro mansioni lavorative all'infinito). Il pensiero è che il buon Romero abbia letto troppi libri sulla sua cinematografia, troppi saggi critici e si sia dimenticato che il suo cinema è intuizione, genio, cattiveria, talento. Cerca di imitarsi, di superare se stesso, a tavolino. E finisce per piacere solo a chi non lo conosce, come già accaduto a un altro maestro decaduto, Dario Argento. Hanno cambiato e rinnovato il cinema, senza riuscire, negli anni, a farlo con se stessi.
Voto: 3